Enrico de Pedis, Renatino, muore con un colpo di pistola esploso da una motocicletta, il 2 febbraio 1990 a Roma, in via del Pellegrino.

Da allora sono passati 30 anni ma il “mito” De Pedis è rimasto intatto, anzi fortificato da serie tv e fiction che lo hanno reso affascinante, anche agli occhi di chi criminale non è, e non lo sarà mai.

Nell’ultimo periodo della sua vita, si faceva chiamare “il presidente”. Si attaccava al telefono e iniziava il giro di chiamate: dal magistrato, al politico fino all’imprenditore.

E mentre parlava, racconta il pentito Antonio Mancini (anche lui ex componente della banda della Magliana), si chinava.

Mancini una volta gli disse: “ah Renà, me stai a fa’ vergognà, tacci tua, stai sempre piegato“. De Pedis rispose “Oggi sto piegato io, domani tocca a loro“.

Renatino, nato e cresciuto a Trastevere, entra presto nella malavita romana, unendosi ad una batteria dell’Alberone.

In breve tempo diventa uno dei leader della banda della Magliana al pari di Giuseppucci, Abbatino e Selis.

Nella banda guida il gruppo dei “testaccini” insieme a Danilo Abbruciati. I testaccini sono la parte della banda collegata a Cosa Nostra tramite Pippo Calò.

De Pedis ama il lusso, vestirsi bene e curarsi. Tanto da venire soprannominato “bambolotto“. A differenza degli altri della banda non beve, non fuma e non usa droghe.

Il suo unico interesse sono i soldi ed il potere. Tutti i suoi guadagni li reinveste in attività illecite e non.

Prestiti ad usura, investimenti immobiliari in Costa Smeralda ed attività commerciali a Roma.

Renatino è il più ricco della banda. Quello che ha gestito meglio i soldi.

I soldi, i tantissimi soldi venivano riciclati tramite il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Con il crack dell’Ambrosiano, molti soldi spariscono.

Quale sorte sia toccata a Calvi, lo sappiamo tutti.

Secondo Sabina Minardi, ex amante di De Pedis, è stato lui a rapire e tenere in custodia Emanuela Orlandi. Per volere, sempre secondo le dichiarazioni della Minardi, di monsignor Marcinkus, presidente dello IOR.

Fatto sta che Renatino, non si capisce come, guadagna la benemerenza del cardinal Poletti.

Proprio lui farà in modo che riposi in pace nella la chiesa di Sant’Apolloinare a Roma. Fino a quando il suo cadavere non creerà troppi imbarazzi e, nel maggio 2012, sarà traslato al cimitero di Prima Porta, per poi essere cremato.

Per volontà della famiglia le sue ceneri saranno disperse in mare.

Forse, proprio a seguito dell’affaire Orlandi, De Pedis allarga il giro dei suoi rapporti: politica, servizi segreti, massoneria ed istituzioni.

Pensa di essere invulnerabile, si crede il capo della banda della Magliana.

Ma la banda non ha mai voluto un capo e chi, come in precedenza Selis, aveva provato a diventarlo era stato fatto fuori.

Edoardo Toscano, che di capi nella banda non ne vuole, dirà a tutti che ucciderà De Pedis. Ma De Pedis lo anticipa e lo fa freddare da due suoi sicari.

È Marcello Colafigli però a vendicare Toscano.

Il 2 febbraio 1990 a via del Pellegrino, nei pressi di Campo de’ Fiori, scatta la trappola. A sparare sono due killer in moto.

Dal processo sulla sua morte, emerge che i servizi sapevano fin dall’inizio dell’attentato, nomi e luoghi.

Nulla fu fatto per impedirlo.

Renatino, per molti, era diventato un uomo troppo potente e con troppi segreti. Meglio che riposasse in pace.